La scrittura è il mezzo d’esspressione più importante del nostro mondo. È ciò che ha dato inizio alla nozione di storia, è ciò che anima il concetto di civiltà. La scrittura è ciò che ci identifica come esseri umani.
Eppure scrivere non è facile, non lo è mai stato. Certo, chiunque è capace di digitare parole su uno schermo, e qualche nostalgico sicuramente ancora sarà capace di trascinare l’inchiostro su un foglio. Ma scrivere è un’azione tutt’altro che semplice.
Scrivere è una scelta.
Ovviamente in pochi vivono nell’intenzione di comporre saggi o romanzi, ma il punto è un altro: siamo tutti scrittori.
Nessuno di noi è il nuovo Sartre o l’erede di Hemingway, ma siamo, senza ombra di dubbio, la generazione umana che più in assoluto utilizza la scrittura: post su Facebook, didascalie di Instagram, tweet di Twitter, messaggi su WhatsApp e commenti un po’ ovunque. Lo facciamo, ogni giorno, continuamente, frettolosamente, distrattamente. Tanto più un’azione entra nel nostro quotidiano, tanto più tendiamo a farla sovrappensiero, con leggerezza.
E indovinate… non dovrebbe essere così.
Usiamo la scrittura per comunicare: probabilmente con gli altri, più raramente con noi stessi. E nel farlo dovremmo usare tutta la cura di cui siamo capaci. La missione è quella di trovare sempre la parola giusta al momento giusto.
Non è solo una questione di grammatica, né di stile, è una questione di concetti: ogni parola ne identifica uno. E raramente, quasi mai, mai, due parole vogliono dire la stessa cosa. I sinonimi non esistono.
Ogni parola è sfumata a sé, ha una sua identità, un suo preciso significato, da usare a seconda del senso che vogliamo rendere e dei contesti in cui ci muoviamo. Occorrono pazienza, attenzione, la giusta sensibilità.
Ed un briciolo di cultura, che non guasta mai.
Una volta scelta la parola giusta, bisogna fare la frase. Costruirla come un mosaico, in cui le parole sono le tessere di forme e colori diversi. Questo è il momento in cui la parola viene esaltata o repressa. È questione di ritmo, di spazi, di suono. La parola scritta coinvolge più di uno dei nostri sensi. Per dire la cosa che intendiamo dire, a volte bisogna dare aria alle parole, altre volte bisogna scagliarle una dietro l’altra, domarle o accostarle in una composizione. È un lavoro in cui la penna diventa cesello.
In questo può venirci incontro la componente sicuramente più sottovalutata e bistrattata della comunicazione scritta nel XXI secolo: la punteggiatura. È un po’ più complicata di come ve la spiegavano alle elementari: il punto non è una semplice pausa forte, la virgola non è una separazione breve. L’interpunzione è ciò che dà colore alle parole, ne tratteggia i contorni, ne definisce i significati.
La punteggiatura spiega, rivela, parla.
Insomma, anche nell’azione più quotidiana e distratta, ricorrere alla scrittura è una cosa seria.
Sta un po’ alla ragione e un po’ alla sensibilità, è un po’ regole e un po’ libertà di infrangerle. Va fatto per bene, è una responsabilità. Scegliere la parola sbagliata è un rischio.
La lezione è quella del maestro Haruki Murakami:
“Le parole sono pericolose. Possono diventare una vera e propria arma. A seconda dell’occasione puoi ferire l’avversario, ma anche te stesso. Io sono un professionista della parola, ma a volte mi fanno paura”.
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Murakami Haruki, La ragazza dello Sputnik, Einaudi, 2013
John Williams, Stoner, Fazi Editore, 2020
Raymond Carver, Il mestiere di scrivere, Einaudi, 2015
Stephen King, On writing – Autobiografia di un mestiere, Sperling & Kupfer, 2017
Cosa significa, secondo me, scrivere bene – Web Crew
Cosa si intende per scrittura creativa? – Niente di personale
Grazie moltissime per il tag. Articolo interessante, come tutti quelli che parlano di scrittura!