Covid, emergenza, pandemia.
Lockdown, blocco, crisi.
Europa, riforme, recupero.
Nove parole per riassumere un anno – il 2020 – già ampiamente presente sui libri di storia e le prospettive di quelli che lo seguono.
Di queste nove parole sei raccontano, due descrivono, una promette. L’ultima. Recupero.
Letteralmente significa “fondo di recupero“, ed è la risposta economico-sociale dell’Unione Europea alla crisi causata dal Covid-19. In parole povere, sono fondi destinati a finanziare la ripresa dei paesi colpiti dalla pandemia, Italia in primis. Un aiuto economico a cui attingere dietro determinate condizioni.
In effetti, il Recovery Fund ha anche un altro nome, molto più eloquente sotto questo profilo: Next Generation EU.
L’Europa Unita di Nuova Generazione.
In totale sono aiuti per 1823 miliardi di euro, che coprono il periodo 2021-2023 e saranno vincolati al bilancio UE 2021-2027.
Per poter accedere a questi fondi ogni Paese deve preparare dei piani e dei progetti nazionali, con obiettivi e costi stimati. Almeno il 37% delle spese previste devono essere investimenti nella green economy, il 21% nella digilitalizzazione.
L’Italia ha la possibilità di ottenere 191,5 miliardi di euro su cui investire per uscire dalla più grande crisi economica e sociale avvenuta dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Potrà farlo attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Nell’opinione pubblica i sentimenti riguardo il Recovery Fund sono ambivalenti, e molto dipende dalla narrazione che viene quotidianamente portata avanti da politici, istituzioni e organi di informazione.
Per ogni voce che benedice questi aiuti come manna dal cielo, ce n’è almeno un’altra che grida l’allarme per la sudditanza economica dei vari Paesi nei confronti di un’Unione Europea accentratrice di potere.
Una sorta di Apocalittici e integrati, ma in ambito socio-economico.
Ed è sicuramente vero: accedere al Recovery Fund comporta un impegno per il nostro Paese, da rispettare aderendo a determinate condizioni. Non sono soldi regalati, l’Europa non lo fa. Nessuno lo fa.
E se le necessità sono ben chiare da tempo, ciò che serve ora è un preciso indirizzo su come strutturare gli investimenti. Obiettivi precisi, per cui i vincoli di spesa diventino in realtà una virtuosa strada da percorrere nel prossimo futuro.
Insomma, i limiti posti dall’Unione Europea ai Paesi che intendono accedere al Recovery Fund si presentano come condizioni con un effetto che si propone di essere espansivo e generativo, dando la possibilità di alimentare i mercati interni.
Questo significa anche un’enorme occasione di rivalutare e agevolare il lavoro delle libere professioni.
Il lavoro autonomo professionale rappresenta una porzione molto importante dell’occupazione in Italia, offrendo peraltro prospettive professionali interessanti soprattutto in quei settori d’innovazione fondamentali per la competività del Paese.
Secondo i dati di Confcommercio, in Italia sono quasi 1 milione e mezzo i liberi professionisti, cresciuti del 24% nel decennio 2008-2018.
Tra questi, i lavoratori autonomi delle professioni non ordinistiche, tra cui le nuove figure dell’era digitale, hanno registrato una crescita che sfiora il 72%. Parliamo di quasi quattrocentomila lavoratori che rappresentano settori in continua evoluzione e ad elevata specializzazione professionale.
E se da un lato il reddito complessivo generato da queste professioni è cresciuto di oltre il 30%, a diminuire è il reddito medio pro capite di questi stessi professionisti, che si riduce quasi di un quarto, il 22,6%.
Tutto questo, prima della pandemia.
Le misure di contenimento dell’emergenza sanitaria hanno poi portato una nuova crisi economica e messo in luce la fortissima necessità di individuare strumenti capaci di rendere il mercato del lavoro flessibile, sostenibile e moderno ma regolato da norme di garanzia nei riguardi di professioni non esattamente convenzionali o meglio, “tradizionali”.
In questo senso tutto dipenderà dal tipo di riforme strutturali che verranno implementate nella gestione del Recovery Fund.
Un ruolo chiave verrà giocato dalla comunicazione di tali iniziative presso l’opinione pubblica, e quindi dalla percezione dei cittadini, che avranno l’assoluta necessità di immaginare e vedere utili e significativi i profondi cambiamenti che si troveranno di fronte.
Quella che ci apprestiamo a costruire auspicabilmente è una nuova visione dell’Europa del lavoro. Ci sarà un momento di ridefinizione, di ricerca dei nuovi equilibri, in cui le piccole realtà della libera professione acquisiranno centralità e futuribilità.
Ciò significa attivare una sorta di conversione dell’intero sistema economico italiano verso una profonda – ma soprattutto vera – innovazione. Una trasformazione delle professioni, adattando il settore terziario in un’economia digitalizzata e contemporanea. Accanto a ciò serviranno riforme che catalizzino il cambiamento, quindi con un utilizzo intelligente delle risorse in grado di sciogliere i nodi fiscali e burocratici, ma con tutele chiare e garantite.
Un’utopia? Quasi.
Tutto starà nel tipo di mentalità con cui le risorse del Ricovery Fund verranno impiegate. Sussidi temporenei e aiuti una tantum prevedibilmente rappresenterebbero un blando palliativo, a fronte di una situazione che invece richiede ben altre ambizioni. Un piano di recupero da un’emergenza come quella che stiamo vivendo richiede una visione ad ampio spettro, con investimenti in infrastrutture – fisiche, ma sopratutto digitali – che possano portare ad un totale cambio di paradigma nel mondo del lavoro.
Da una parte, ovviamente, la palla è in mano a chi amministra e gestisce i fondi, programma spese ed azioni, scandisce l’agenda degli investimenti e si propone di creare le condizioni di lavoro del futuro. D’altro canto però, parte della responsabilità è sulle spalle dei liberi professionisti stessi, che non potranno limitarsi a rimanere spettatori dei cambiamenti, ma dovranno sapere cogliere le opportunità ed indirizzare il proprio destino.
Avere nuove possibilità significa avere anche la necessità di dotarsi di nuovi strumenti, di accedere ad un nuovo tipo di formazione, di sfruttare nuove idee. Significa calarsi definitivamente in quella mentalità elastica che vive il lavoro quotidiano come un flusso senza soluzione di continuità.
Tutti cambiamenti che in realtà il mondo professionale, in maniera un po’ disordianata e spesso localizzata, esige già da tempo, e che oggi, solo oggi, abbiamo la possibilità di seguire.
Il Parlamento Europeo ha approvato il Recovery Fund – Konrad, il Post
Recovery Fund, tutto quello che c’è da sapere in 10 domande e risposte – Il Sole 24 Ore
Il Recovery plan scorda le libere professioni – MF Milano Finanza
PNNR, Manca una strategia per le libere professioni – MondoProfessionisti