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Cos’è lo Smart Working. Cioè: cos’è davvero.

Tutti ne parlano, molti pensano di farlo, alcuni lo fanno davvero, pochi lo sanno.
Una volta per tutte: cos’è lo Smart Working?

 

La pandemia di COVID-19 non ha solo cambiato le nostre più semplici abitudini di vita negli spazi, nelle distanze, negli spostamenti. Ha anche rivoluzionato il nostro modo di parlare, stravolgendo il nostro lessico quotidiano.
Alcune parole si sono introdotte nel nostro parlato dal nulla, altre invece più “vecchie” sono state stravolte: parenti e fidanzati sono diventati “congiunti”, “assembramento” è divenuto il sostantivo più utilizzato dell’anno, il concetto di “asintomatico” è passato dai dialoghi di Dottor House alle conversazioni fra genitori e figli.

E poi, gli anglicismi.
Lockdown, droplet, Smart Working.
Smart Working?

cos'è smart working wide open coworing abruzzo

Se ne parla tanto, se ne parla male

Le aziende lo invocano, alcune lo temono, sociologi e politici ne fanno dibattito in tv, divide l’opinione pubblica e perfino il vecchietto del bar (che di sicuro non è nativo digitale…) ogni tanto prova con coraggio e un po’ di confusione a pronunciare queste due parole: Smart Working.
Se ne parla tanto, se ne parla male, perché soprattutto se ne parla a sproposito.

Il fatto è questo: travolti dalla necessità di dare un nome e una definizione al nuovo adattamento al lavoro sotto le costrizioni del lockdown, la soluzione più spontanea è stata quella di prendere una locuzione verbale che esisteva già e applicarla frettolosamente alla situazione del momento.
E così è successo: un po’ si è semplificato e un po’ si è distorto quello che è il vero concetto di Smart Working, con la silenziosa complicità dei media d’informazione, che poco hanno fatto per chiarire l’equivoco. Anzi, lo hanno usato ovunque. 
In fondo “suonava bene”, no?

Bene. A questo punto, ci pensiamo noi…

Cosa NON è lo Smart Working

Il paradosso è che per definire cos’è lo Smart Working (davvero), conviene ormai partire da cosa NON è: lavorare da casa.

Se un impiegato compila le sue pratiche dalle 9 alle 17, dal computer di casa invece che dall’ufficio, non sta facendo Smart Working.
Un insegnante che fa lezione tutti i giorni dalle 8:30 su Google Meet, avendo come sfondo il salotto invece che la lavagna, non sta facendo Smart Working.
Il centralino di un call center che non risponde da un cubicolo, ma dalla sua cameretta… Beh, avete capito.

Questa forma di adattamento della professione, che ha come caratteristica la pura e semplice telematicità a colmare una distanza fisica, è più propriamente descritta dalla definizione di “Telelavoro”. Cioè, qualcosa di estremamente diverso da quello che è il corretto modo di intendere il lavoro agile

Invece, cos’è lo Smart Working

Lo Smart Working è un modo di intendere la professione come totalmente slegata dagli schemi fissi dell’orario e dai confini spaziali della sede di lavoro. La parola d’ordine è una sola: flessibilità.
Una flessibilità che è sancita anche dalla giurisprudenza italiana, dal momento che è la legge 81/2017 a definire lo Smart Working come «una forma di esecuzione del lavoro subordinato, con forme di organizzazione senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro».

Tra datore di lavoro e professionista si stipula un nuovo accordo: non si ragiona più per ore passate in ufficio, ma sulla base di fasi, cicli e obiettivi da raggiungere. Così, la prestazione lavorativa in parte viene eseguita nei locali aziendali, in parte all’esterno senza postazione fissa.
La natura del lavoro diventa profondamente elastica, flessibile, e di sicuro non per questo meno legata ad un’etica professionale improntata alla serietà e all’impegno.
Il lavoratore così si trova ad assumere più autonomia, ma anche ad essere maggiormente responsabilizzato.
Se con vincoli più tradizionali abbiamo una visione in cui c’è la proprietà degli strumenti e un accesso al lavoro, oggi è l’esatto contrario: il lavoratore accede agli spazi e si sente al centro del proprio lavoro. Nello Smart Working accesso e possesso vengono filosoficamente invertiti.

Prima alla scrivania di Mario, c’era il lavoro per l’azienda.
Oggi, sulla scrivania dell‘azienda, c’è il lavoro di Mario.

Ed in questo tipo di approccio, valorizzazione del talento, gratificazione e fiducia diventano concetti fondamentali.

Certo, il possibile utilizzo di strumenti tecnologici è, ovviamente, parte integrante del concetto di Smart Working, ma… parliamoci chiaro: in quale attività lavorativa ormai non lo è?

Lo Smart Working, nella pratica

Il concetto continua ad essere ampio, complesso e difficile da definire in poche parole.
Per capire bene cosa sia lo Smart Working, occorre andare a guardare quali sono gli aspetti più concreti nelle concezioni e nella routine di un cosiddetto lavoratore agile.

Anzitutto, in regime di Smart Working non c’è regime. I rapporti tra manager e dipendente vengono ridefiniti, si passa dal controllo alla fiducia, con tutta la revisione della cultura organizzativa che questo cambiamento comporta. Sempre e comunque, non fa mai male ribadirlo, nel pieno rispetto dei singoli ruoli.

Non si timbra il cartellino. Come già detto, gli orari di lavoro diventano flessibili.
Questa flessibilità deve essere garantita dall’utilizzo di una dotazione tecnologica che favorisca approcci collaborativi ed elastici. Si lavora in cloud, i device mobili diventano sempre più importanti.

E poi ci sono gli spazi, che devono necessariamente evolversi con il lavoro. Cambiano le esigenze, cambiano anche i luoghi dove queste devono trovare soluzione.
Sarà sempre più difficile trovare aziende che impostano il loro spazio secondo una rigida divisione in uffici e sezioni, sarà sempre più facile trovare open space in cui i professionisti sono incentivati alla collaborazione e alla condivisione di risorse.
Tutti concetti che dalle nostre parti suonano piuttosto familiari…

cos'è lo smart working-Wide-Open-Coworking-Teramo-Abruzzo

Lo Smart Working in Italia

Il fenomeno – quello vero – è in crescita e sono sempre di più le aziende che scelgono di adottare soluzioni di Smart Working all’interno della loro organizzazione, anche nel nostro Paese. La situazione però è tutt’altro che uniforme.
Le grandi aziende sono sempre più convinte dalla convenienza che questo nuovo approccio riesce ad avere e da anni sperimentano ed implementano strutture di lavoro agile.

Se nelle aziende più grandi comincia ad essere una realtà, nelle Piccole e Medie Imprese il fenomeno è ancora emergente. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working (dalla School of Management del Politecnico di Milano) sono il 12% le PMI che dichiarano di avere iniziative strutturate in tal senso e solo il 6% ha intenzione di adattarsi a questo approccio in breve termine.

Nella Pubblica Amministrazione, invece, la situazione è ancora diversa: dall’approvazione della legge del 2017 la curiosità attorno allo Smart Working nel settore pubblico si è rafforzata, ma non ha ancora portato ad una progettualità seria e strutturata.

In totale, nel 2018 gli smart worker stimati erano circa 480mila, saliti a 570mila nel 2019.  Nonostante la crescita, sembra che la cultura manageriale in Italia abbia ancora pesanti limiti vincolati ad una visione più tradizionale del concetto di lavoro, nonostante gli enormi benefici che lo Smart Working riesce a portare. Quando fatto bene.

Benefici? Quali?

Lo Smart Working rimette al centro del concetto di lavoro il lavoratore, con tutte le sue necessità. In questo modo i professionisti dichiarano di essere più soddisfatti e gratificati nello svolgimento del proprio lavoro e maggiormente inclini a sviluppare e padroneggiare gli strumenti necessari a compierlo al meglio. Aumenta la soddisfazione, aumenta la fiducia: il clima che si instaura comporta effetti positivi nelle relazioni con colleghi e superiori.

In concreto? I benefici economici risultano enormi. Nelle imprese che adottano modelli modelli maturi e virtuosi di Smart Working la produttività incrementa in media del 15% per ogni lavoratore. Un impatto che dovrebbe far gola a qualsiasi azienda che sappia guardare all’innovazione con un pizzico di coraggio, senza farsi scoraggiare dalla prospettiva del cambiamento.

Un’occhiata anche sotto il profilo sociale: in tempi di green economy e svolte ecologiche, può essere un bene sapere che una singola giornata a settimana di lavoro da remoto riesce a far risparmiare ad ogni lavoratore circa 40 ore all’anno di spostamento, con una riduzione di emissioni di circa 135kg di CO2 all’anno.

E alla fine…

…torniamo sempre lì. Al futuro.
Lo Smart Working rappresenta un altro (l’ennesimo) mattoncino su cui si sta andando a costruire l’avvenire nel mondo del lavoro e dell’economia nella sua totalità. È una delle basi su cui si sta organizzando l’evoluzione del mondo professionale, in una struttura moderna, in grado di rispondere alle nuove esigenze e di adattarsi ai cambiamenti.

Smart Working” è l’ennesimo paradigma che cambia, quello che rimette al centro del lavoro la persona, con le sue necessità e i suoi obiettivi, generando così il valore in più in termini di produttività e qualità del lavoro e, quindi, della vita.
Vuol dire cambiare totalmente la cultura del lavoro, dalla visione manageriale dei vertici aziendali fino all’etica professionale dell’ultimo stagista arrivato in studio.

Appena appena più complesso che lavorare da casa, no?

Qualche altro punto di vista:

Smart Working. Il lavoro agile dalla teoria alla pratica – Osservatori.net
Smart Working: che cos’è, a cosa serve, perché è importante per il business – Digital4Executive
Lavoro agile: cos’è e come funziona lo Smart Working – QuiFinanza
Smart Working: normativa vigente, cos’è, come funziona – Techradar
Smart Working: cos’è e come funziona, significato, normativa, vantaggi – The Italian Times

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